Manifesto per la decrescita felice
di Maurizio Pallante
Lo yogurt prodotto
industrialmente e acquistato attraverso i circuiti commerciali, per
arrivare sulla tavola dei consumatori percorre da 1.200 a1.500
chilometri, costa 5 euro al litro, viene confezionato al 95 per cento in
vasetti di plastica quasi tutti monouso, raggruppati in imballaggi di
cartoncino, subisce trattamenti di conservazione che spesso non lasciano
sopravvivere i batteri da cui è stato formato.
Lo yogurt autoprodotto facendo
fermentare il latte con opportune colonie batteriche non deve essere
trasportato, non richiede confezioni e imballaggi, costa il prezzo del
latte, non ha conservanti ed è ricchissimo di batteri.
Lo yogurt autoprodotto è
pertanto di qualità superiore rispetto a quello prodotto
industrialmente, costa molto di meno, contribuisce a ridurre le
emissioni di CO2 perché non comporta consumi di fonti fossili per il
trasporto e per la produzione dei contenitori usa e getta, non produce
rifiuti.
Tuttavia questa scelta, che
migliora la qualità della vita di chi la compie e non genera impatti
ambientali, comporta un decremento del prodotto interno lordo: sia
perché lo yogurt autoprodotto non passa attraverso la mediazione del
denaro, quindi fa diminuire la domanda di merci; sia perché non richiede
consumi di carburante; quindi fa diminuire la domanda di merci; sia
perché non richiede confezioni e imballaggi, quindi fa diminuire la
domanda di merci; sia perché fa diminuire i costi di smaltimento dei
rifiuti.
Ciò disturba i ministri delle
finanze perché riduce il gettito dell’IVA e delle accise sui carburanti;
i ministri dell’ambiente perché di conseguenza si riducono gli
stanziamenti dei loro bilanci e non possono più sovvenzionare le fonti
energetiche alternative nell’ottica dello «sviluppo sostenibile»; i
sindaci, i presidenti di regione e di provincia perché non possono più
distribuire ai loro elettori i contributi statali per le fonti
alternative; le aziende municipalizzate e i consorzi di gestione rifiuti
perché diminuiscono gli introiti delle discariche e degli inceneritori;
i gestori di reti di teleriscaldamento alimentate da inceneritori,
perché devono rimpiazzare la carenza di combustibile derivante da
rifiuti (che ritirano a pagamento) con gasolio (che devono comprare).
Ma non è tutto.
Facendo diminuire la domanda di
vasetti di plastica e di imballaggi in cartoncino, l’autoproduzione
dello yogurt fa diminuire ulteriormente la domanda di petrolio. Sia
quello che serve per produrre la plastica (due chili di petrolio per
chilo di plastica), sia quello che serve per il carburante necessario a
trasportare vasetti e imballaggi dalle fabbriche in cui vengono prodotti
alle fabbriche in cui viene prodotto industrialmente lo yogurt.
Comporta quindi una ulteriore diminuzione delle emissioni di CO2 e del
prodotto interno lordo.
Ciò disturba una seconda volta i
ministri delle finanze e dell’ambiente, i sindaci, i presidenti di
regione e di provincia per le ragioni già dette.
Ma non è tutto.
I fermenti lattici contenuti
nello yogurt fresco autoprodotto arricchiscono la flora batterica
intestinale e fanno evacuare meglio. Le persone affette da stitichezza
possono iniziare la loro giornata leggeri come libellule. Pertanto la
qualità della loro vita migliora e il loro reddito ne ha un ulteriore
beneficio, perché non devono più comprare purganti. Ma ciò comporta una
diminuzione della domanda di merci e del prodotto interno lordo. Anche i
purganti prodotti industrialmente e acquistati attraverso i circuiti
commerciali, per arrivare nelle case dei consumatori percorrono migliaia
di chilometri. La diminuzione della loro domanda comporta dunque anche
una ulteriore diminuzione dei consumi di carburante e un ulteriore
decremento del prodotto interno lordo.
Ciò disturba una terza volta i
ministri delle finanze e dell’ambiente, i sindaci, i presidenti di
regione e di provincia per le ragioni già dette.
Ma non è tutto.
La diminuzione della domanda di
yogurt, di vasetti di plastica e di imballaggi in cartoncino, di
purganti e della quantità di rifiuti, comporta una riduzione della
circolazione degli autotreni che li trasportano e, quindi, una maggiore
fluidità del traffico stradale e autostradale. Gli altri autoveicoli
possono circolare più velocemente e si riducono gli intasamenti. Di
conseguenza migliora la qualità della vita. Ma diminuiscono anche i
consumi di carburante e si riduce il prodotto interno lordo.
Ciò disturba una quarta volta i
ministri delle finanze e dell’ambiente, i sindaci, i presidenti di
regione e di provincia per le ragioni già dette.
Ma non è tutto.
La diminuzione dei camion
circolanti su strade e autostrade diminuisce statisticamente i rischi
d’incidenti. Questo ulteriore miglioramento della qualità della vita
indotto dalla sostituzione dello yogurt prodotto industrialmente con
yogurt autoprodotto, comporta una ulteriore diminuzione del prodotto
interno lordo, facendo diminuire sia le spese ospedaliere, farmaceutiche
e mortuarie, sia le spese per le riparazioni degli autoveicoli
incidentati e gli acquisti di autoveicoli nuovi in sostituzione di
quelli non più riparabili.
Ciò disturba una quinta volta i
ministri delle finanze e dell’ambiente, i sindaci, i presidenti di
regione e di provincia per le ragioni già dette.
Il Movimento per la Decrescita
Felice si propone di promuovere la più ampia sostituzione possibile
delle merci prodotte industrialmente ed acquistate nei circuiti
commerciali con l’autoproduzione di beni. In questa scelta, che comporta
una diminuzione del prodotto interno lordo, individua la possibilità di
straordinari miglioramenti della vita individuale e collettiva, delle
condizioni ambientali e delle relazioni tra i popoli, gli Stati e le
culture.
La sua prospettiva è opposta a
quella del cosiddetto «sviluppo sostenibile», che continua a ritenere
positivo il meccanismo della crescita economica come fattore di
benessere, limitandosi a proporre di correggerlo con l’introduzione di
tecnologie meno inquinanti e auspicando una sua estensione, con queste
correzioni, ai popoli che non a caso vengono definiti «sottosviluppati».
Nel settore cruciale
dell’energia, lo «sviluppo sostenibile», a partire dalla valutazione che
le fonti fossili non sono più in grado di sostenere una crescita
durevole e una sua estensione a livello planetario, ne propone la
sostituzione con fonti alternative. Il Movimento per la Decrescita
Felice ritiene invece che questa sostituzione debba avvenire nell’ambito
di una riduzione dei consumi energetici, da perseguire sia con
l’eliminazione di sprechi, inefficienze e usi impropri, sia con
l’eliminazione dei consumi indotti da un’organizzazione economica e
produttiva finalizzata alla sostituzione dell’autoproduzione di beni con
la produzione e la commercializzazione di merci.
Questa prospettiva comporta che
nei paesi industrializzati si riscoprano e si valorizzino stili di vita
del passato, irresponsabilmente abbandonati in nome di una malintesa
concezione del progresso, mentre invece hanno prospettive di futuro più
ampie degli stili di vita moderni che li hanno sostituiti, non solo nei
settori tradizionali dei bisogni primari, ma anche in alcuni settori
tecnologicamente avanzati e cruciali per il futuro dell’umanità, come
quello energetico, dove la maggiore efficienza e il minor impatto
ambientale si ottengono con impianti di autoproduzione collegati in rete
per scambiare le eccedenze.
Nei paesi lasciati in stato di
indigenza dalla rapina delle risorse che sono state necessarie alla
crescita economica dei paesi industrializzati, un reale e duraturo
miglioramento della qualità della vita non potrà esserci riproducendo il
modello dei paesi industrializzati, ma solo con una crescita dei
consumi che non comporti una progressiva sostituzione dei beni
autoprodotti con merci prodotte industrialmente e acquistate. Una più
equa redistribuzione delle risorse a livello mondiale non si potrà avere
se la crescita del benessere di questi popoli avverrà sotto la forma
crescita del prodotto interno lordo, nemmeno se fosse temperata dai
correttivi ecologici dello «sviluppo sostenibile». Che del resto è un
lusso perseguibile solo da chi ha già avuto più del necessario da uno
sviluppo senza aggettivi.
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